Fontana di aga del me pais
a no è aga pì frescia che tal me paìs
fontana di aga del me paìs
P.P. Pasolini)
a no è aga pì frescia che tal me paìs
fontana di aga del me paìs
P.P. Pasolini)
Silenzio nell’aria tersa di una splendida giornata di fine ottobre, rotto solo dal volo di uccelli e dal fruscio delle foglie, voci sommesse a rompere una perfezione fatta di luci ed ombre dove ritrovare un sentimento antico e nuovo.
Il parco delle Risorgive di Codroipo, per chi non c’è mai stato, appare come un paesaggio bucolico, un affresco, dove la profondità della luce si alterna a coni d’ombra a esaltarne tutta la bellezza.
Con l’animo disposto a pregustare la schiettezza dell’ambiente, nelle orecchie l’eco dei versi di Maldini e Giacomini e la certezza di trovarmi nella terra dove il genio letterario friulano è stato più proficuo lascio alle mie spalle la vecchia “osteria” un tempo animata da grande fervore letterario per addentrarmi nel regno delle fate o agane, che secondo un’antica credenza celtica popolavano al pari delle ninfe greche e romane boschi e sorgenti per sedurre il viandante che passava di lì, con i loro balli, fino allo sfinimento.
Mi inoltro su un sentiero scolpito tra olmi e querce lasciando sul terreno umido il segno del mio passaggio. Rami ancora frondosi mi sfiorano, solleticando il corpo che non si sottrae a quella piacevole sensazione. Giunta in uno spiazzo circolare faccio un giro attorno a me stessa per assorbire i tanti stimoli che mi giungono: il sole che filtra tra i rami, due scoiattoli che si inseguono o inseguono la felicità, il profumo dell’erba bagnata. E là, dove l’umidità è maggiore, la vista di famigliole di funghi avvinghiati a ceppi di alberi come il groviglio di edere avviluppate attorno a esili tronchi di acacie a testimoniare l’importanza delle radici che qua in Friuli, terra di confine, emigrazione, occupazione sono ben affondate nel terreno, difficili da estirpare.
Ed è vicina Casarsa, vicini i turchi prossimi ad invadere le nostre terre, sento le voci concitate del popolo buono della campagna che al grido di: “Cristo, pietà per il nostro Paese” attraverso la preghiera e al sacrificio di Meni, alla fine salverà il villaggio di Casarsa, ottenendo il miracolo di un uragano che allontana i barbari sanguinari.
E’ l’opera di Pasolini: “I turcs tal Friul” che riempie il mio immaginario, l'unica opera teatrale da lui scritta che racconta la tragedia delle sue genti, affamate e ridotte in schiavitù dalle depredazioni islamiche che sono rimaste nella memoria del popolo e sono diventate canto nella personalissima rivisitazione in musica di Gigi Maieron.
30 settembre 1499, Casarsa. E' sera, quasi ora di cena. La gente sta rientrando nelle proprie case. Improvvisamente si diffonde la notizia che diecimila Turchi a cavallo e seicento a piedi stanno arrivando. La sera che sembrava concludere in serenità l'ennesima giornata, si carica di drammaticità: sarà forse l'ultima? La paura raggiunge la comunità. L'idea della morte riverbera in ogni cuore. Non e' è possibilità di difesa. Molti si raccolgono in preghiera, altri scelgono di cercare rifugio nei bosco; i più giovani decidono di andare incontro ai Turchi: quasi un disperato tentativo di difesa; quasi a voler regalare ai propri compaesani una speranza impossibile. Le notizie si susseguono alimentando speranze/paure, preghiere. Si sente in lontananza il canto dei Turchi. Si vedono alzarsi le fiamme nei paesi vicini che bruciano. Rientrano i giovani che erano andati incontro al nemico portando uno di loro ormai morto. Non c'è più speranza, ma all'improvviso una tempesta alza la polvere dai campi. I Turchi quasi per miracolo cambiano strada.
E’ il momento i cui le paure svaniscono lasciando il posto alla commozione e al ritorno alla calma.
La stessa tranquillità del mio animo pervaso dalla serenità di questo incontro con la natura.
Foglie gialle sparse qua e là, oltre al tripudio di colori di pioppi, frassini, ontani danno la percezione dell’incombente autunno mentre i salici nel loro umile portamento annunciano la presenza di numerose olle dalle quali affiorano le acque che dopo un lungo percorso sotterraneo qua rivedono la luce.
E risorgiva, dal suono liquido come il gorgoglio di una fontana, la mente ancora legata all’evocazione di un lontano passato, mi suggerisce l’idea di resurrezione attraverso l’acqua purificatrice, zampillo di vita.
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