Un blog può anche servire a portare
alla luce storie e fatti di un tempo mai dimenticati, come quello delle Portatrici Carniche
grazie a chi ne ha raccolto la memoria portando a conoscenza di tutti, in una Italia dove ormai si è smarrito il
senso dell’identità e di valori come
generosità, sacrificio, spessore umano, la capacità di donarsi per una giusta causa.
C’è una piccola pagina della nostra
storia, una piccola pagina sconosciuta ai più ma non per questo meno importante
che riguarda, ancora un volta le donne, il loro coraggio e spirito di abnegazione.
Donne, e non è retorica, con la D maiuscola perché fu un atto di
eroismo, durante la prima guerra mondiale, guerra tutta combattuta sulle montagne, lungo una linea che aveva
un’ampiezza di circa 16 km,
accettare l’incarico di rifornire di vettovaglie e munizioni, per mancanza di
collegamenti tra il fondovalle e la montagna, i soldati impegnati al fronte. Erano donne che
avevano un’età compresa tra i 14 e i 60 anni che non esitarono ad affrontare quotidianamente,
con la gerla sulle spalle carica di
armi, munizioni e generi di conforto, un viaggio della durata di 4-5 ore
giornaliere, fino a raggiungere i 1200 metri di quota lungo i sentieri impervi
della montagna portando a quegli uomini stremati
dalla fatica e dalla logorante guerra di posizione non soltanto
vettovagliamenti ma anche una carezza e sostegno morale.
Queste donne che la gerla la
conoscevano bene, simbolo di fatica e di orgoglio femminile, partivano all’alba
per ritornare al tramonto, e non fu raro vederle ritornare trasportando in
barella qualche militare ferito o, addirittura morto. Ma la loro giornata non
finiva là. Tornate a casa, altro lavoro, la casa, la stalla, i vecchi e i
bambini da accudire e tutto fatto con santa rassegnazione aspettando il nuovo
giorno per ripartire.
Il bilancio finale per queste donne
che, disprezzando il pericolo per una giusta causa erano diventate facile
bersaglio del nemico fu di tre donne ferite e una, Maria Plozner Mentil, di
Timau, colpita a morte da un cecchino austriaco mentre assieme alla sua
inseparabile amica si stava riposando dopo aver scaricato dalla gerla un
pesante carico di munizioni.
Questo anche in ricordo di mia
nonna e di mia mamma, omonima e lontana parente dell’eroina morta, di tutte le
volte che me ne parlavano come di un fatto ordinario, perché la loro vita era
temprata alle fatiche e alle privazioni.
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