Epoca dei fatti: 1944 - 1945
Quando salii sui monti per consultarmi con mio fratello sul da farsi, sentivo sul collo l’alito dei tedeschi che mi tenevano d’occhio da quando mi avevano vista reagire infuriata davanti ai poveri resti del giovane morto, esposto come monito su un carro in piazza a Tolmezzo.
Non sapevo ancora, o forse sì che sarei ridiscesa diversa, e non perchè il comandante ZanZan mi fece capire che avrebbero dovuto uccidermi per impedirmi di parlare conoscendo bene i metodi persuasivi dei tedeschi.
Realizzai in quei momenti che volevo servire alla causa, liberare la mia terra dal nemico e non esitai neppure un attimo a considerare la mia adesione, seppur forzata, un dovere e una missione.
E così che nacque la partigiana Mira.
Il dott. Aulo Magrini è morto da poco. Ci serve un’infermiera mi fu detto e tu fai al caso nostro.
Iniziò allora la mia militanza e la realtà superò spesso l’immaginazione.
Le prove che affrontai furono tutte all’insegna del rischio, della fatica, delle privazioni e del dolore per le tante morti tra i compagni e la popolazione, disseminate lungo il cammino.
Non ero preparata perché non puoi mai prepararti alle atrocità della guerra ma ero determinata a fare la mia parte e quando mi mandarono ad Ampezzo a fare il corso di infermiera presso il dott. Zagolin, medico e combattente, mi prodigai allo spasimo per accelerare i tempi della mia formazione.
Una volta pronta, quante volte intervenni non solo per curare ma per confortare, accarezzare...
Portare avanti la la lotta significò rischiare la vita ogni giorno, sopportare il freddo, il caldo, affrontare la neve e il vento lungo i sentieri impervi di montagna, spesso con i morsi della fame che toglievano le forze ma mai perdemmo di vista l’obiettivo e usammo tutte le strategie possibili per ostacolare i tedeschi e liberarci dall’oppressore.
Chiudo gli occhi e rivedo le tante operazioni che ci videro vittoriosi sul nemico ma anche i tanti momenti difficili in cui mi trovai direttamente protagonista come quando dopo un attacco da parte dei tedeschi al paese di Casanova trovai il coraggio di entrare in quell’inferno di ferro e di fuoco e pur ferita ad una gamba riuscii a salvare diverse persone.
Ebbi momenti di smarrimento come quando allo stremo delle forze affondai il volto nel pelo morbido di un agnellino cercando attraverso il calore del suo corpo di scaldare anche il cuore o come quando davanti alla devastazione dei crocefissi della chiesa di Forni di Sotto con le ostie consacrate sparse per terra, ne presi una in bocca chiedendo a Dio di perdonare coloro che avevano fatto quel gesto blasfemo.
Ci aspettavano giorni e mesi concitati, i tedeschi divennero sempre più bellicosi, vista la cattiva piega che stavano prendendo gli eventi.
Passai molti mesi assieme al comandante Barba Toni, il mio comandante al quale mi legava una forte stima e un delicatissimo, corrisposto sentimento amoroso destinato però a rimanere un bel ricordo di condivisione e di lotta.
I continui spostamenti tra le malghe di montagna sfavoriti dalla rigidità invernale, la fame,il freddo ma anche la solidarietà tra compagni, l’allegria che nasceva spontanea nei brevi ma intensi momenti in cui potevamo mettere qualcosa sotto i denti, sono fotogrammi impressi nella memoria per rimanervi per sempre.
Arrivò il momento dei cosacchi, tra Cadunea e Cedarchis si passava col passaporto ma sprezzante del pericolo mi spostavo spesso tra i due paesi e Tolmezzo per portare e ricevere ordini dai nostri informatori.
Caduto Hitler iniziò la ritirata dei tedeschi e dei cosacchi ma non fu indolore, perdemmo dei compagni proprio a un passo dalla Liberazione.
L’orrore che mi accompagnò in quegli anni fu mitigato dalla consapevolezza di aver avuto un compito da assolvere e che aver combattuto per una giusta causa ed essere riuscita a salvare anche soltanto una vita umana era il giusto premio che valeva anche il sacrificio della mia vita.
Libera interpretazione di Loretta Fusco delle memorie di Lucia Cella, la Partigiana Mira dal libro:
“Mira” Sui monti la libertà a cura di Ferruccio Tassin
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